PSICOLOGIA: LA psicologia delle folle

 


LA PSICOLOGIA DELLE FOLLE DI LE BON

Eventi come lo sviluppo della società industriale, i conflitti di classe e le proteste popolari, fecero saltare all'occhio alcune stranezze, da parte degli psicologi del tempo: le persone tendevano a comportarsi in modo differente all'interno del gruppo, rispetto a quando si trovavano soli.

Ricordiamo, ad esempio Le Bon, che si occupò appunto di risolvere gli interrogativi legati a questo fenomeno, nel suo saggio del 1895 La psicologia delle folle . Per Le Bon, quando un individuo è circondato dalla folla, mette in atto dei comportamenti meno razionali rispetto a quando è solo: nella folla emerge lo spirito istinitvo dell'individuo, l'anima della razza umana. In questo contesto, acquisisce una forza invinciblile che gli permette di cedere a quegli impulsi che, da solo, avrebbe tenuto sotto controllo: l'emotività viene esaltata al massimo. E' una sorta di contagio mentale, che si basa sulla suggestione.

E' necessario quindi un capo che possa condurre la folla per ordinaew queste tendenze istintive.
 
FREUD E L'ANNULLAMENTO DEL SINGOLO NELLE FOLLA
Nel 1921, Sigumud Freud, scrisse un libro sul tema, di nome Psicologia delle masse e analisi dell'io
che tratta i motivi che inducono gli individui a comportarsi in modo diverso quando si trovano nella folla.
Egli sostiene che per capire il comportamento di una folla sia necessario analizzare il  singolo, e dunque i meccanismi inconsci che stanno alla base del comportamento individuale all'interno di una folla più ampia. In questo contesto, la personalità del singolo si annulla, lasciando spazio alla personalità della massa, che diventa omogenea per i comportamenti.
L'uomo si sente potente, poiché la massa garantisce l'anonimato e l'annullamento del senso di responsabilità: l'individuo singolo non esiste più, poiché diventa massa anonima.
Nella massa, gli individui si identificano con gli altri individui, rinunciando alla propria autonomia e proiettano le qualità ideali sul capo, che rappresenta tali caratteristiche.
Il comportamento umano nella folla ha dunque la sua origine in elementi inconsci e libidici, ovvero che sfuggono alla consapevolezza.
 
LA BANALITA' DEL MALE NELLA TEORIA DI MILGRAM
Stanley Milgram, psicologo statunitense, durante gli anni sessanta del secolo scorso, si occupò di condurre delle ricerche riguardo l'obbedienza alle autorità.
È importante contestualizzare però i suoi studi: si era appena svolto, a Gerusalemme, il processo a Adolf Eichmann, accusato di crimini contro il popolo ebraico, contro l'umanità e di nazismo. La filosofa Hanna Arendt segue il dibattito, e in base alle sue osservazioni scrive il saggio la banalità del male: il male, incarnato dall'imputato, è banale, in quanto la sua malvagità non è trascendentale: è banale, e le sue azioni potrebbero essere compiute da chiunque.
Quello che Miligram tentò di spiegare, in questo senso, è come ogni persona, anche abituata alla vita pacifica, possa arrivare a compiere azioni spregevoli se influenzato dalla società. Nel caso specifico del nazismo, l'obbedienza alle autorità sarebbe alla base dei comportamenti dei nazisti stessi (e alla base di tutti i comportamenti disumani).
Lo studio è stato realizzato da parte dell'università di Yale, su più di mille soggetti. Attraverso un annuncio su un giornale, Miligram reclutò dei volontari chiamamti a pratecipare all'esperimento, preannunciato come studio sugli effetti delle punizioni nell'insegnamento. I volontari vennero mescoltati, a loro insaputa, e divisi in allievi ed insegnanti: gli allievi dovettero imparare a memoria dei vocaboli, e al momento dell'errore, gli insengati dovettero punirli con una scossa elettrica che via via diventava più forte, come ordinato da Miligram (l'autorità).
Fino a che punto i soggetti sarebbero andati avanti con l'esperimento e quanti di loro si sarebbero ribellati alle imposizioni delle autorità? Nella maggior parte dei casi, l'esperimento fu portato a termine nonostante si manifestassero dubbi: di fatto l'insegnante sapeva di star ferendo l'alunno, ma continuava comunque, sotto controllo delle autorità.

Il fatto che sconvolse lo psicologo fu che, nonostante l'individuo sapesse di star facendo del male, non solo non volesse opporsi alle autorità, ma non ne aveva nemmeno i mezzi: si innesca una gamma ampissima di fenomeni che vanno a determinare la sottomissione dell'individuo.
Miligram individuò alcuni fattori:
  • la buona educazione;
  • l'impegno a mantenere la promessa fatta allo sperimentatore;
  • la vergogna di tirarsi indietro.
I meccanismi che vengono messi in atto sono dunque di adattamento, delegando ad altri la responsabilità delle loro azioni: è colpa delle autorità, non del soggetto (questo è il meccanismo psicologico che si innesca). Dunque a coloro che compiono le azioni vengono attribuite qualità impersonali, indipendenti dalle azioni umane: i soggetti agiscono obbedendo ad una sorte di imperativo trascendentale alla volontà umana. L'individuo si sente, dunque, molto vicino all'autorità e molto lontano dalla vittima. 

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